Giorni fa, in una trasmissione televisiva, mentre un medico definiva il parto come “un atto medico con un livello variabile di rischio”, mi sono chiesta che tipo di ripercussioni e che risonanza potesse avere una simile affermazione nella mente di una donna che desidera un figlio o sta per averne uno.
Il parto è soprattutto la conclusione di un processo fisiologico, un’espulsione spontanea del bambino ormai giunto alla completa formazione del suo piccolo organismo. Il corpo di una donna, con l’inizio della gravidanza, è programmato anche per l’evento finale, il corpo sa come procedere, quali ormoni produrre, quali muscoli contrarre e quali dilatare e, in un’armonia di eventi sincronizzati fra loro, realizza quel fenomeno meraviglioso che è la nascita di un nuovo essere umano.
Tuttavia il parto viene affrontato con una buona dose di ansia dovuta a racconti, fatti di cronaca, esperienze vissute, e l’ansia si trasforma spesso in paura, in angoscia e persino in panico. Questo stato d’animo durante il travaglio favorisce, purtroppo, la produzione in forti quantità di ormoni dello stress, e in particolare di adrenalina, che vanno a contrastare soprattutto la liberazione di ossitocina, ormone che stimola e regola le contrazioni della muscolatura liscia dell’utero. L’azione insufficiente dell’ossitocina dovuta all’effetto inibitorio degli ormoni dello stress determina, quindi, un travaglio più lungo e più doloroso del solito.
Durante la gestazione, la futura madre sperimenta emozioni spesso contraddittorie di felicità e di inadeguatezza, di paura e di gioia, di incertezza, di grandi aspettative e di confusione che coinvolgono l’intera personalità della donna. Questi contrasti presenti nella componente emotiva modificano la soglia del dolore abbassandola o innalzandola in base al livello di paura e di angoscia o ad un atteggiamento sereno e di calma con conseguente accentuazione o riduzione della percezione fisica della sofferenza.
La gestione dell’ansia appare, dunque, fondamentale nel periodo di preparazione al parto insieme all’apprendimento di conoscenze di carattere fisiologico, igienico, medico ecc, indispensabili per un percorso tranquillo e sereno della gravidanza.
Le tecniche di rilassamento in genere sono molto utili, e fra queste il Training Autogeno, anche nella versione respiratoria di Piscicelli specifica per il parto, le visualizzazioni, la meditazione, lo yoga e l’ipnosi o l’autoipnosi. Quest’ultima rispetto alle altre richiede un minor allenamento e può diventare un buon rinforzo delle varie metodiche.
Con l’uso dell’autoipnosi durante la preparazione al parto si apprende a:
- Non contrastare ma assecondare, facilitandoli, i meccanismi naturali e fisiologici del parto;
- Sfruttare e ottimizzare le risorse di ripresa della gestante durante il travaglio, tra una contrazione e l’altra;
- Gestire il dolore delle contrazioni innalzandone la soglia;
- Ridurre i tempi del travaglio e di espulsione del bambino.
Durante lo stato ipnotico che non è sonno non si ha, come spesso si crede, una perdita di coscienza ma si è consapevoli di tutto ciò che accade, non si ha amnesia ma si ricorda tutto, non si ha una perdita di controllo, ma al contrario un maggior controllo sul corpo e sulla mente e in particolare sulla muscolatura durante la fase del travaglio. Tutto ciò si può ottenere attraverso la concentrazione sulle sensazioni del corpo, su immagini mentali o sul respiro, sotto la guida di una persona esperta che mediante la parola conduce ad uno stato di rilassamento profondo difficilmente raggiungibile da soli in tempi brevi.
L’autoipnosi, a differenza dell’ipnosi, può essere inoltre usata senza la presenza dell’ipnotista e permette di mantenere un contatto collaborativo con il personale sanitario, col partner e con il neonato. E, forse, i maggiori vantaggi sono proprio per il bambino che nasce in un “parto naturale e dolce” e viene subito accolto e accudito da una mamma serena, riposata e sicura di sé.