Negli ultimi decenni il termine stress è stato usato frequentemente, sia nella letteratura scientifica sia nel linguaggio corrente, con significati diversi e talvolta opposti. Se inizialmente, nel secolo scorso, come termine ingegneristico, indicava lo sforzo cui veniva sottoposto un ponte al momento del transito di un veicolo, più tardi, con l’evolversi delle scienze biologiche e psicologiche, il termine ha assunto il significato di una serie di stimoli agenti sull’individuo a livello biologico, psicologico e sociale, in grado di produrre una reazione di difesa da parte dell’organismo e, quindi, a lungo termine, produrre delle patologie.
Secondo Hans Selye, fisiologo austriaco, cui si deve il merito d’avere inserito il termine in una teoria generale dello sviluppo della malattia, lo stress è “la risposta non specifica dell’organismo a ogni richiesta di cambiamento” (Selye, 1956). Già da studente aveva notato che i medici tendevano a tralasciare una serie di sintomi aspecifici e generici, presenti nelle fasi iniziali di tante malattie per concentrare l’attenzione invece su quelli specifici. Gli stessi sintomi li ritrovò poi da medico nelle sue prime ricerche, risalenti al 1936, quando, studiando un ormone sessuale attraverso inoculazioni di estratti tissutali non purificati in animali da esperimento, notò in questi ultimi lo sviluppo di reazioni organiche come ipertrofia delle surrenali, atrofia del timo e delle ghiandole linfatiche e sviluppo di ulcere gastriche, che definì come reazioni aspecifiche verso stimoli nocivi con significato difensivo e adattativo o Sindrome generale di adattamento (GAS).
Lo stress è, quindi, una reazione fisiologica adattativa e aspecifica a qualunque richiesta di modificazione esercitata sull’organismo da stimoli eterogenei (fatica eccessiva, sbalzi di temperatura, interventi chirurgici e traumi, farmaci) o agenti stressanti (stressor), ed espressa da variazioni di tipo endocrino, soprattutto con l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene e conseguente aumento di ormoni corticosurrenali.
La Sindrome generale di adattamento allo stress
è caratterizzata da 3 stadi:
1) la fase di allarme, con aumento degli ormoni corticosurrenali;
2) la fase di resistenza, con aumento della resistenza verso lo stimolo nocivo e riduzione delle difese verso altri stimoli;
3) la fase di esaurimento, con crollo delle difese e incapacità ad adattarsi a ulteriori stimoli.
Lo stress, pur essendo fisiologicamente utile, in quanto reazione adattativa, può produrre condizioni patologiche se lo stressor agisce con particolare intensità e/o per periodi di tempo piuttosto lunghi. Selye offrì una visione multicausale dell’eziopatogenesi delle malattie e sottolineò per primo l’importanza della stimolazione corticosurrenale in risposta allo stress spiegando come questa possa ridurre la resistenza fisica e danneggiare i vari organi.
Negli anni precedenti agli studi di Selye, W.B.Cannon, influenzato dalle ricerche di C.Bernard, un fisiologo del secolo scorso, studiò lo stress come reazione di allarme descrivendone gli aspetti ormonali e comportamentali e aprendo la strada alla psicofisiologia. Cannon introdusse il concetto di omeostasi per indicare il mantenimento dell’equilibrio nell’ambiente interno all’organismo (Cannon, 1935) e definì lo stress come uno stimolo perturbante l’equilibrio omeostatico dell’organismo che poteva essere ripristinato solo se lo stimolo non raggiungeva un livello critico oltre il quale ogni meccanismo di compenso fisiologico sarebbe risultato inefficace.
Egli dimostrò sperimentalmente che uno stress intenso e prolungato poteva indurre una patologia somatica, provocando alterazioni gastriche negli animali da laboratorio sottoposti a intense emozioni (Cannon 1915).
Per Mason (1975) anche gli stimoli psicososciali sarebbero in grado di indurre una reazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene simile alla reazione descritta da Selye, poiché la reazione da stress non è mediata da un singolo fattore endocrino o nervoso ma da un’attivazione emozionale. Gli eventi stressanti provocherebbero l’insorgenza di emozioni con risposte psicologiche e biologiche che nei primati sono complesse e personalizzate.
A una prima interpretazione del modello stimolo-risposta, di tipo comportamentista, si aggiunsero, negli anni sessanta, le nuove interpretazioni di Lazarus e Folkman in cui la risposta non era più qualcosa di automatico, che agiva direttamente a livello fisico e fisiologico, ma dipendeva dalla valutazione cognitiva dello stimolo e quindi dall’elaborazione dell’individuo sulla base della sua costituzione genetica e delle sue esperienze precedenti. Se dunque uno stimolo non è valutato come rilevante per l’individuo, a livello conscio o inconscio, non si verifica attivazione emozionale (sistema limbico) e quindi non si manifesta una eventuale risposta sia a livello fisiologico che a livello comportamentale.
Questo spiegherebbe come mai certe situazioni anche pericolose, assumendo un significato diverso da persona a persona, possono provocare conseguenze solo in alcuni individui.
La reazione individuale agli eventi stressanti dipende, quindi, da fattori che possono incrementarne o attenuarne la patogenicità ed essere definiti di rischio o di protezione.
Sono fattori che influenzano la risposta individuale: la gravità oggettiva dell’evento, il significato soggettivo, la capacità di gestione del cambiamento, il senso di controllo sull’evento, la sensazione di perdita o minaccia personale, il supporto sociale e familiare, il livello socio-economico, la concomitanza di eventi negativi e la presenza di eventi positivi recenti che potrebbero avere un effetto compensatorio.
Ulteriori informazioni sul sito di The american Institute of stress
http://www.stress.org/what-is-stress/
Bibliografia
Selye H. 1956, The stress of life, New York, Graw-Hill.
Selye H. 1974, The stress without distress, New York, Lippincott.
Lazarus R.S, e Folkman S., 1984, Stress, appraisal and coping, New York,Springer.