Nella mia prima supplenza in una scuola superiore feci un’esperienza che segnò il mio modo di rapportarmi con gli adolescenti negli anni successivi. Quella mattina entrai in diverse classi, ricordo soprattutto due terze. Dai racconti dei colleghi i ragazzi erano particolarmente difficili da gestire,tanto che il preside aveva scelto per loro due aule, ai lati della presidenza, per farli sentire più sotto controllo e poter intervenire tempestivamente i n caso di “emergenza” (saltare dalla finestra, dare fuoco ad un banco, aggredire un compagno , ecc.). Questa strategia per fortuna mi fu spiegata dopo e così entrai nelle classi meno tesa e spaventata. In una terza trovai parecchia agitazione, uno dei ragazzi stava per essere sospeso e lui riteneva ingiusto questo tipo di provvedimento. Mi pareva sincero, seriamente dispiaciuto e i compagni erano solidali con lui. Mi presentai velocemente e così li ascoltai quasi per un’ora cercando di capire le loro ragioni.
Nell’altra classe si svolse invece secondo le mie previsioni, mi presentai, chiesi che cosa avevano fatto fino a quella lezione, quali erano i loro interessi e spiegai qualcosa di ciò che intendevo fare in quel periodo che avremmo trascorso insieme. Le lezioni successive si svolsero nella prima terza in un clima di grande rispetto e di ascolto reciproco, mi seguivano nelle spiegazioni con tanta attenzione e si interessavano ad ogni argomento. Nella seconda classe, invece, gestire la lezione mi sembrava a tratti impossibile, erano distratti, disinteressati e così irrequieti che spesso il mio lavoro si riduceva soltanto nel tenerli a bada.
Come era possibile un’esperienza così diversa ma tuttavia tanto illuminante? Forse nella prima classe si erano sentiti capiti e accettati, mentre nella seconda non avevo creato le condizioni per ascoltarli sufficientemente ed essendo una supplente, potevano anche permettersi di ignorare la mia presenza. Non fu mai necessario l’intervento del preside ma allora lo considerai comunque un fallimento e capii che l’approccio efficace era quello in cui le programmazioni passavano in secondo piano per far prevalere la centralità del ragazzo e l’attenzione alla sua persona e ai suoi vissuti. L’adolescente ascoltato e preso in considerazione diventa più disponibile al lavoro scolastico e più motivato ad un maggiore impegno.
Spesso ci si preoccupa molto di fare elaborate programmazioni, di frequentare corsi di aggiornamento, di approfondire metodiche, strategie, strumenti multimediali e si rischia di perdere di vista l’essenziale che nella trasmissione del sapere, nel suscitare e sviluppare abilità o competenze, è la relazione che si riesce a costruire con gli alunni. Tutto passa, viene accettato o respinto attraverso la relazione e il processo di apprendimento è conseguente e determinato da questa. I ragazzi ascoltano volentieri chi è disposto ad ascoltarli e se si sentono stimati e valorizzati iniziano a stimarsi, a scoprirsi, a mettersi alla prova, a sfidare le proprie capacità, diventando sempre più sicuri di sé e fiduciosi.
Ciò che gli adolescenti e gli alunni in genere non sopportano negli insegnanti sono le preferenze e le valutazioni con unità di misura differenti da un alunno all’ altro, il pretendere di avere comunque ragione senza mettersi in discussione, sentirsi incolpare di qualcosa che ritengono non aver commesso e quindi subire un’ingiustizia,non sentirsi capiti, non essere ascoltati o essere presi in giro, non considerare le loro capacità o tener conto dei loro sforzi. Di solito la quantità eccessiva di compiti viene messa agli ultimi posti delle loro lamentele perché ciò che temono e li ferisce non è l’impegno richiesto ma la scarsa considerazione e la poca fiducia nelle loro risorse.
Un saggio professore amava ripetere: “Cosa bisogna fare per insegnare il latino a Giovanni? Bisogna conoscere bene Giovanni!”
Davanti ad un adolescente occorre fermarsi, mettere a tacere il desiderio di fornire subito soluzioni, dare consigli scontati, preparare risposte sulla nostra misura o sulla nostra esperienza, occorre aprire non solo le orecchie ma il cuore e lasciarli parlare… Magari si può chiedere qualche spiegazione in più ma senza interrompere il loro parlare… Solo così nascono le relazioni.